DA APRILE A GIUGNO 2007

IL RISTORANTE DEL WIGWAM CLUB CONVIVIO

LA TANA DEI GOLOSI

PRESENTA

 

“Roma, lo Stato Pontificio e la Toscana

Tra le grandi città italiane, Roma è certamente quella che da Palazzo ha preso meno. Palazzo beninteso, come sede di potere, di ricchezza e di cultura, quindi nel nostro campo, di tradizione della buona tavola, di scienza del banchetto, di gastronomia come scuola di gusto intelligente ed equilibrato. Meno di quanto hanno ereditato, a pezzi e bocconi (è il caso di dirlo) Palermo, Napoli, Firenze, Venezia, Ferrara e Mantova, le piccole capitali di regni e signorie rinascimentali. Eppure è proprio qui che Bartolomeo Sacchi detto “il Platina”, teorizzo la misura e il buon senso a tavola come nella vita, richiamandosi agli scritti dei classici che proprio in quei tempi tornavano di moda (correva l’anno del Signore 1475). Non poteva non chiamarsi “de honesta voluptate et valetudine” cioè il giusto piacere e la buona salute, il libro di buoni propositi scritto all’ombra del Vaticano (il Platina, ex soldataccio di ventura, ex cuoco, era allora bibliotecario di Sisto IV). Né alcuno dei successori ha raccolto il messaggio di Bartolomeo Scappi, cuoco di Pio V e autore di un testo storico della nostra gastronomia: “l’opera dell’arte di cucinare (1570)” starebbe addirittura all’origine delle cucine regionali italiane.

Forse dipende proprio dal rapporto potere-gastronomia la peculiarità “plebea” della cucina romana. Qui, a differenza delle piccole capitali già citate, il potere è stato troppo “ballerino” ed effimero, seppur assolutistico, per poter influenzare il costume gastronomico dell’Urbe. Che rimase per secoli – Roma è stata a lungo capitale mondiale del turismo religioso, come lo è oggi La Mecca- nelle mani di osti forse volenterosi ma illetterati. Da Montaigne (1580) in poi non mancano né testimonianze né rimostranze. Altro fattore importante: la situazione fisica e geografica del territorio; col litorale deserto e paludoso, con la campagna semi spopolata e malarica, non ci si poteva rifornire che in Sabina. E chiaramente, se non dichiaratamente l’impronta sabina traspare nella cucina romana, almeno nei suoi costituenti importanti: agnelli, caciotte, gli oli squisiti, ortaggi e frutta. Piccolo, ma saporito apporto viene dalla comunità giudaica, saldamente attestata in Trastevere e dintorni fin dai tempi di Giulio Cesare cui dobbiamo – alla comunità e non a Cesare – i carciofi alla giudia, la torta di scarola e alici e i gloriosi filetti di baccalà fritti dorati. Questo per il passato più o meno prossimo. Per il presente, resta il rimpianto che né il Belli né Trilussa che pure ne avrebbero avuto modo, abbiano scritto qualcosa. E poi che dire delle attuali Umbria e Marche anche loro Pontificie e della culla della cultura italiana: la Toscana? Si potrebbe scrivere un trattato di storia gastronomica ed enologica ma lasciamo ai commensali il piacere di scoprire i sapori e i saperi di queste zone.

Scusateci ma per problemi climatici siamo costretti a far partire con ritardo il menu del centro Italia.

PRENOTAZIONI E INFORMAZIONI ALLO 0677203202

LA TANA DEI GOLOSI E’ A ROMA

IN VIA SAN GIOVANNI IN LATERANO 220

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