Da Metodo e non metodo (nella critica letteraria):

Ogni opera di riflessione teorica s'inserisce, al suo apparire, in un orizzonte storicamente determinato e fa i conti, quand'anche non lo voglia, con tutte le suggestioni e tutti gli impulsi che la materia affrontata spontaneamente suscita. Questa regola generale sembra ancor più vera per un volume come questo, quarto della Letteratura italiana, il quale si misura con l'arduo problema dell'« interpretazione» e si sforza di mettere un certo ordine, innanzitutto espositivo, nella travagliata« questione del metodo ».
In questo caso, infatti, l'orizzonte storico, di cui parlavamo, può essere perfettamente determinato, ha un prima e un poi con i quali misurarsi, un inizio e una fine ben individuabili (per quanto si possa parlare di un principio e di una fine rigorosamente determinati a proposito di processi come quelli che la critica letteraria tratta). Questo basta già di per sé a giustificare il particolare carattere della maggior parte dei discorsi presenti in questo volume, che è, al tempo stesso, di proposta critica, operativa, e di bilancio storico, di analisi e rendiconto del quadro dei risultati raggiunti. Essi stanno, per cosi dire, tra una frontiera e l'altra; non solo dispongono, di fronte al lettore, l'insieme, il ricco insieme, degli strumenti dei quali può avvalersi non solo il critico professionista ma un qualsiasi lettore attento di testi letterari; ma anche misurano lo spazio intercorso (spazio storico, spazio concettuale, spazio epistemologico) all'interno di esperienze, che a loro volta, e di volta in volta, si sono misurate e sono passate attraverso altri spazi storici, concettuali, epistemologici.
Ma, per tornare al discorso di partenza, io direi che la fondazione della questione del metodo nasce, all'interno della cultura occidentale, con la nascita, appunto, del Metodo: sia che questo riguardi il problema epistemologico dell'interpretazione del testo e la possibilità stessa, conseguentemente, di una conoscenza sistematica della letteratura; sia che questo riguardi gli aspetti materiali del testo stesso e la identificazione della sua insopprimibile fisicità, come oggetto contraddistinto da caratteri determinati, sempre più distinguibili da quelli di altri oggetti culturali e sempre più definito nella sua identità corporea, fatta di segni, pagine, scritture, rilegature, volumi, collezioni, stampatori, editori.
Non credo sia casuale che tutto ciò avvenga, in un breve spazio di pochi decenni, e in una sorprendente contiguità spaziale, geografico-culturale, quella della Francia della metà del XVII secolo, in cui il frutto delle filologie e delle esperienze scientifiche straniere (in particolare, quelle dell'Umanesimo e della «Nuova Scienza» italiani) si sistematizza in proposte acuminate di nuove metodologie e nuove maniere di pensare, che nella loro eventuale astrattezza trovavano, se mai, un argomento di più per persuadere, per uscire vincitrici dal confronto con più attardate e pesanti forme d'investigazione (tra cui, per esempio, la retorica, la quale conosce di conseguenza un'eclissi, forse immeritata, ma destinata a durare a lungo). Qui è la vera cesura, il vero salto di qualità (comunque lo si voglia giudicare a distanza di più di tre secoli). Pensiamo, in particolare, a nomi come quelli di René Descartes e Jean Mabillon.
Non dimentichiamo che il Discours de la Méthode porta già nel titolo la precisazione: Pour bien conduire sa raison, et chercher la vérité dans les sciences; e che la metodologia proposta in quel prezioso libretto non consiste, essenzialmente, che nella sistematizzazione del «buon senso», di cui la maggior parte degli uomini secondo Descartes è spontaneamente dotata. La critica della cultura del proprio tempo, contraddistinta da frammentazione, disordine e dall'assenza di qualsiasi principio unificante, porta inevitabilmente alla ricerca di un principio unico del sapere. Le quattro regole del metodo cartesiano, per quanto dedotte essenzialmente da alcune fondamentali procedure matematiche, possono essere, infatti, applicate utilmente a qualsiasi terreno di indagine. La ricerca della verità, dunque, che costituisce di per sé l'obiettivo dell'analista, qualunque sia la materia alla quale egli si applica, non può fare a meno di un principio filosofico; e questo principio filosofico «Io penso, dunque sono»), a chi lo guarda bene, si rivela né più né meno che l'affermazione di una soggettività creatrice, che tende a ricondurre anche l'oggetto nell'ambito delle procedure analitiche rese possibili dalla particolare struttura conoscitiva, propria della mente dell'osservatore (che è, e non può non essere in questo caso, un essere umano). . La fondamentale rivoluzione paleografica e diplomatica, resa possibile dall'erudizione di Mabillon e dalla straordinaria operosità dei padri Maurini, prolungata per più di un secolo, procede anch'essa, più di quanto non sembri, lungo la grande corrente del razionalismo francese del XVII secolo. I
De re diplomatica libri sex (1681), mentre contribuiscono alla fondazione del concetto di «dato certo», di genealogia e cronologia delle opere, come condizione preliminare e irrinunciabile della loro storia, introducono nel lavoro del filologo e sempre più sistematizzano gli aspetti critici, razionali e perciò problematici, dibattimentali, dell'operazione solo apparentemente materiale della ricostruzione del testo.
Non apparirà perciò né singolare né sorprendente che, nei secoli successivi, la grande critica letteraria europea sia dominata da due tendenze apparentemente contrapposte, in realtà confluenti nell'ottenere il medesimo effetto: da una parte, quella che consiste nella ricerca sempre più materiale, sempre più rigorosa ed inconfutabile, dell'esattezza del testo esaminato e di tutti i particolari concernenti la sua effettiva collocazione storica; dall'altra quella che consiste nella proliferazione crescente dei criteri possibili d'interpretazione, ciascuno dei quali, però, dichiara e presume d'essere l'unico a possedere la chiave della «verità» dell'oggetto esaminato. Anche il primo caso, tuttavia, rientra come abbiamo già accennato, nella sfera crescente di un pensiero razionalistico e problematico, che moltiplica i propri oggetti con gli strumenti Sempre più sofisticati delle rispettive professionalità, delle quali si compone: basterebbe pensare alle straordinarie evoluzioni, anche recenti, delle attitudini e degli interessi paleografici, per rendersi conto di come tali processi non siano riconducibili esclusivamente ad un incremento, che peraltro esiste, degli strumenti positivi d'indagine. I «tormenti della filologia» non sono estranei ma fanno parte, anche concettualmente, di questa storia del problematicismo e, insieme, di questa costante tensione alla verità, propria della critica letteraria degli ultimi tre secoli.
Da un punto di vista generale, dunque, non dovrebbero esserci ostacoli a concepire le vicende della critica e delle teorie letterarie nell'età moderna come un caso speciale (ma strettamente concatenato con tutto il resto) del discorso scientifico contemporaneo: ne vedremo più avanti alcune conseguenze.
Da un punto di vista più particolare bisognerebbe segnalare il fatto che, nell'evoluzione delle metodologie letterarie, dopo la svolta poc'anzi descritta, si verificano almeno due grandi inserimenti, di natura assai diversa, ma non tale, tuttavia, da modificare il quadro sintetico dei problemi di fondo già accennati: quello rappresentato dallo storicismo dialettico d'origine hegeliana (con tutti i suoi addentellati diretti e indiretti, ivi compreso il positivismo evoluzionistico e il marxismo); e quello rappresentato dal formalismo neopositivistico e strutturalistico, e poi semiologico (dal Circolo di Mosca alla Scuola di Praga fino ai giorni nostri). I due poli contrapposti della storia e della struttura amplificano e ramificano ulteriormente le tensioni esistenti nel campo della riflessione teorico-letteraria: basti pensare ad una questione come quella della storiografia letteraria, la quale da questa contrapposizione esce ad un certo punto quasi distrutta come nozione legittimamente praticabile, per rendersi conto di quali profonde questioni epistemologiche siano state investite e messe in causa da riassetti anche parziali del sapere letterario, come quelli cui si è finora accennato.
Se poi si guarda all'esperienza ancor più particolare dell'Italia, si può vedere come lo schema proposto sia destinato a funzionare anche per una ricostruzione storica della nostra critica. L'iter italicum di Mabillon, e il suo incontro con Benedetto Bacchini, maestro e protettore di Ludovico Antonio Muratori, fondatore dei nostri studi storici, innescano un processo di azioni e reazioni, che può dirsi oggi sufficientemente chiaro nelle sue interne dinamiche…