1. Da «Storia e geografia» nel Novecento italiano: alcune premesse.

Se facciamo un tentativo per riassumere alcuni dei principali caratteri della Storia e geografia della letteratura italiana, vediamo che fra essi assume un rilievo preminente il rapporto fra tempo e spazio all'interno del fenomeno letterario.
Naturalmente, poiché abbiamo parlato di storia, risulterà evidente che, in questo caso, abbiamo inteso disporre gli avvenimenti secondo la serie diacronica (cioè, abbiamo attribuito il valore di un arricchimento di senso alla descrizione degli avvenimenti letterari fatta in base a quella convenzione epistemologica apparentemente semplice ma in realtà molto impegnativa, e per certi versi anche costrittiva, per cui un avvenimento sempre ne segue un altro e sempre un altro ne precede).
In altri casi, com'è noto, sempre interni alla Letteratura italiana Einaudi, ci siamo comportati diversamente, orientando la descrizione dei fenomeni letterari secondo, ad esempio, una certa serie tematica: in tal modo abbiamo ottenuto delle vere e proprie storie verticali, sondaggi in profondità della materia lungo l'asse interpretativo di volta in volta prescelto. La differenza tra i due modelli adottati non è di principio ma funzionale: ciò cui si tende è l'accrescimento del risultato conoscitivo, non il rafforzamento eventuale del modello ideologico. Ma non torneremo qui su cose già dette.
Tuttavia, l'adozione della serie diacronica - che, nella sua forma più semplice, può coincidere con una cronologia - non può neanch'essa esser considerata come risolutiva rispetto alla esigenza di una ricostruzione storico-letteraria. La sua «oggettività» è, infatti, ingannevole: essa non è una specie di struttura ossea bell'e data, a cui si tratti semplicemente di appendere i fenomeni specificamente letterari come vestiti ad un attaccapanni. Questa labilità o mobilità del dato storico in sé considerato può essere colta da vari punti di vista: basterebbe porsi, pur sempre restando in campo letterario, la domanda: «storia di che?» (degli individui, dei gruppi, dei generi, degli stili, dei linguaggi?), per rendersi conto che un dato apparentemente univoco sarebbe destinato a dare molte risposte, quando esso fosse correttamente interrogato, e che s'illude chi crede d'aver risolto nell'unità del contenitore (la Storia) la molteplicità pressoché infinita della fenomenologia letteraria.
E da tener presente, anche, che nel concetto di «storia letteraria» quando non si tratti di una storia letteraria «speciale» come una di quelle che abbiamo elencato - sarebbe ambizione dello storico cercare di racchiudere tutto: o meglio, forse, !'insieme vastissimo delle interrelazioni, che tengono insieme tutti i fenomeni di cui si può parlare a titolo letterario. L'impresa, ovviamente, è praticamente improponibile, ma ha valore dal punto di vista della ricerca di una tendenza.
Per tornare al punto di partenza. Scegliendo tra i diversi «criteri» possibili di «regolazione» e «organizzazione» del dato storico, abbiamo prescelto 1'opzione apparentemente pio elementare, ma per più versi anche pio decisiva, che consiste nell' accettare e praticare il presupposto secondo cui non esiste un tempo al di fuori di uno spazio. Sappiamo che il discorso storico-letterario, anzi, quello storico tout court, è sempre un discorso altamente convenzionale, che cerca di sistemare in una precaria unità fenomeni spesso assai eterogenei fra loro (per esempio, la «biografia» di un autore e la relativa autonomia del testo da lui prodotto, una volta che sia stato «prodotto»). Tuttavia, la convenzione sfocia nell' arbitrio quando il punto di vista dell' osservatore, che è per sua natura unificante, tende a semplificare eccessivamente il quadro, riducendo la complessità dei fenomeni alla propria unità. Non è un caso che i modelli eccessivamente unificanti abbiano conosciuto una particolare fortuna nelle fasi di predominio di una cultura idealistica; mentre una cultura di stampo positivistico o materialistico ha sempre prestato attenzione, almeno, alle concrete particolarità del processo storico (e vedremo che questa diversità di orientamenti riguarderà molto da vicino anche il discorso su questa fase finale della storia della letteratura italiana, di cui questo volume si occupa).
La geografia, dunque, è la forma concreta che lo spazio assume nel momento in cui esso si colloca nella storia. Anche la geografia, dunque, risulta, in questa accezione una forma della storia; cosi come la storia, a sua volta, non è in grado di «rivelarsi» se non assume la forma della geografia. Voglio dire, cioè, che la geografia, a cui abbiamo fatto riferimento e su cui abbiamo costruito la nostra,struttura, è anch'essa uno spazio mentale, o, meglio, culturale, e non soltanto un insieme di luoghi fisici nel senso stretto del termine (anche se un quoziente pio elevato di «fisicità» s'introduce, per cosi dire, nella descrizione del fenomeno letterario, quando esso è anche spazialmente perimetrato). La geografia è, insomma, in questo ambito, il complesso dei parametri di riferimento ambientaIi e antropologici, fissati ed organizzati nei luoghi e nelle strutture delle culture stanziali, che si sovrappongono e s'intrecciano ai diversi fattori del dinamismo e del mutamento, cioè allo spostamento nel tempo delle forme della consuetudine letteraria, del gusto, delle poetiche e delle ideologie. Fattori di permanenza e fattori di mutamento si condizionano a vicenda, e il prodotto letterario spesso non è nient' altro che la composizione di questo precario equilibrio, mediato dalla individualità del singolo scrittore (la quale, tuttavia, non è a sua volta che la risultante di un intreccio di fattori ambientali e di fattori intellettuali).
Questo schema potrebbe adattarsi alle situazioni più diverse, ma non è un caso, probabilmente, che esso sia stato elaborato principalmente in un' area di cultura come quella italiana e in funzione di essa. La «storia della letteratura italiana» è, infatti, una categoria molto complessa, dove gli elementi spaziali e quelli storici hanno sempre costituito un intreccio più complicato che altrove. Questo discorso risulta ormai di una evidenza solare per tutto quel lungo periodo (più di seicento anni), in cui c'è stata una letteratura italiana, ma non una Nazione italiana né un Paese italiano, nel senso in cui, fin dal XV secolo (almeno), si può parlare di una Francia o di una Spagna o di un'Inghilterra. Tuttavia, non sembra superfluo sottolineare, proprio in questa fase finale del lavoro, che nell'impianto storico-geografico della nostra ricerca, non abbiamo mai inteso approdare ad una «storia regionale» della «letteratura italiana», bensì ad una «storia non unitaria» della «letteratura nazionale». Sarebbe assurdo negare, infatti, che, in virtù di fattori linguistici e ideologici, fin dall'inizio la letteratura italiana sviluppi una forte tensione unitaria, una ricerca spesso appassionata dei motivi comuni (De vulgari eloquentia è l'architrave di questo sistema). Anzi, in conseguenza della sua particolare conformazione politica e statuale, la letteratura costituisce a lungo uno dei principali, forse il principale fattore unificante nella storia intellettuale di questo paese.
Tuttavia, è altrettanto incontestabile che i diversi «centri» o «Stati-regioni» sviluppino tradizioni e interessi, che, nel loro insieme, costituiscono altrettante sostanziose varianti del modello unitario, che, in quanto tale, resta a lungo una totale astrazione e si presenta infatti, a scadenze ricorrenti, sotto la forma di una qualche ideologia. Ora, il punto è che, al di fuori di quelle varianti, non è «visibile» una letteratura italiana: la letteratura italiana coincide con l'insieme di quelle varianti e al tempo stesso con ciascuna di esse. Si potrebbe dire che, invece di scrivere una storia della letteratura italiana, abbiamo scritto (ci siamo sforzati di scrivere) molte storie diverse della letteratura italiana. […]