Presentazione a La cultura

È mio proposito affrontare in questo saggio la storia della cultura italiana entro termini limitati, ma per quanto possibile caratterizzanti, partendo dalla grande crisi degli ultimi secoli dell'Impero romano per giungere fino a quei prodromi di modernità autentica che possiamo scorgere negli anni immediatamente precedenti la metà del secolo XVIII.
Se con il termine cultura si comprendessero soltanto le manifestazioni - formalizzate dalla scienza, dalla letteratura e dalle arti ,- delle convinzioni, delle credenze, degli slanci e delle ricerche proprie di età e regioni ben definite, si stenterebbe spesso a distinguere, fino ai secoli XII e XIII, i grandi tratti della cultura italiana da quelli propri di tutta la cultura occidentale. Ma se, come ci sembra lecito, con cultura intendiamo la somma delle componenti e delle risultanti non solo scientifiche, letterarie e artistiche, ma anche giuridiche, istituzionali o magari tecnologiche che entrano nella storia di una società, possiamo dire che l'Italia ha conosciuto nell'arco di secoli che esaminiamo situazioni abbastanza singolari perché le loro implicazioni e le loro conseguenze culturali non possano venire confuse per somiglianze sommarie o per interpretazioni analogiche, con quelle determinate in altre parti d'Europa da condizioni politiche, economiche e sociali di natura e di ampiezza ben diverse.
Andrà dunque precisato che per cultura si intende una somma di nozioni, di regole e di usanze che non scompaiono definitivamente per semplice desuetudine. In questo senso non vi è cultura se non sulla base del documento più o meno fedelmente conservato e più o meno esattamente databile. Dove non esista che la tradizione orale non si è mai costituita alcuna cultura, quando si ammetta che è proprio dell'atto culturale possedere una forza di comunicazione capace di superare il gruppo etnico o sociale che l'ha visto nascere, vera e propria possibilità della sua sopravvivenza. In effetti il suo destino non è ineluttabilmente legato al dominio o all'indipendenza materiali: la storia dei popoli germanici, che ai tempi delle grandi invasioni hanno avuto l'Europa ai loro piedi, senza peraltro possedere una propria cultura, nel senso qui dato a questo termine, è significativa da questo punto di vista: fino alla loro romanizzazione, siamo ridotti a congetturare alloro riguardo oscure continuità etno-geografiche.
Come tutto ciò che dipende da un gioco di consensi e di scambi nel corpo sociale, la cultura si traduce in un insieme di codici, tendenti all'istituzione di un sistema di relazioni e di trasmissioni. Ma questo non basta a distinguerla dalla barbarie, che rimane, nonostante tutto, l'inverso della cultura. La barbarie non significa assenza di ogni codice, ma l'egemonia di un sistema di esclusioni, di interdizioni, imposto da uno o più livelli del gruppo sociale a uno o a diversi altri. Ora, quanto più un codice è capace di assorbimento e di estensione, tanto più esso compone o annunzia una cultura; quanto più è perpetuato come esclusione, tanto più fonda e conserva una barbarie. Quanto l'uno è insieme mobile e motore, tanto l'altro è statico e immobilizzante. Né ciò è vero soltanto nell'ambito del pensiero speculativo e dell'espressione creatrice: la storia dell'Occidente medievale è abbastanza rivelatrice del fatto che se la cultura, intesa come un codice di relazioni, si congiunge a una produzione di scambio, la barbarie si chiude in una produzione, o meglio in uno sfruttamento di sussistenza.
Finalmente una cultura è espressa ed elaborata da una società da cui nasce una civiltà, ossia la scoperta graduale di un sistema concertato di produzioni, di consumi, di scambi, di rapporti e di valori, giudicato o percepito da questa società come esemplare e destinato pertanto non a circoscriversi, ma a diffondersi.
Una civiltà non è fatta di stratagemmi e di riti tramandati di padre in figlio. Così pure una cultura è qualcosa di diverso da un insieme di tradizioni conservate. Essa è proprio quella che rifiuta, almeno sordamente, e finalmente supera l'«eterno ritorno» della tradizione. Prende forma e durata quando una data società non si accontenta più di sopravvivere mediante i riti e di vincere con la violenza, ma aspira ad animarsi grazie all'inventiva, ad affermare con nuovi modi di contatto la sua egemonia sull'ambiente naturale in cui si muove, a ripudiare il segreto atavico per rafforzare l'intera collettività, istruendone i membri e cercando di conoscere e non solo di affrontare l'avversario, per trarre così da esso un aumento della propria forza e del proprio irradiamento, anziché mirare al suo annientamento. Sotto questo riguardo la cultura italiana presenta aspetti che possiamo definire esemplari. A differenza di altre che, più o meno dichiaratamente, hanno postulato una supremazia istituzionale, economica, militare o razziale, essa è stata quasi sempre curiosa non meno che liberale, aperta a suggerimenti esterni quanto pronta a diffondersi fuori dei propri focolari. Da periodo di predominante assorbimento a periodo di predominante diffusione e viceversa, essa è stata forse -dacché l'Europa ha preso il posto del mondo romano- quella meno fondamentalmente locale e quindi quella più rappresentativa del complesso di culture del mondo occidentale.